Di seguito alcuni dei materiali che sono serviti per dare origine teorica e concettuale al progetto, e hanno condotto le curatrici a tratteggiare il profilo di DIMORE e a disegnarne le linee guida.
STEFANIA SCHIAVON
MANIFESTO
(Ognuna delle frasi che seguono può essere volta in forma interrogativa.)
• Istruire lo spirito del non fare così come si istruisce lo spirito del fare.
• Elevare l’indecisione fino a conferirle dignità politica. Porla in equilibrio col potere.
• Immaginare il progetto come uno spazio che comprende riserve, domande da porre.
• Considerare la non organizzazione come un principio vitale grazie al quale ogni organizzazione si lascia attraversare dai lampi della vita.
• Avvicinarsi alla diversità con stupore. […]
Gilles Clement, Manifesto del Terzo Paesaggio, Quodlibet, 2005, p.61
[qui l’accesso gratuito all’edizione francese]
Quando ci siamo fermati tutti, a poco a poco mi sono sentita bene pur nell’inquietudine e nella sospensione. Non sono riuscita in nulla delle cose che più voci suggerivano e incoraggiavano a fare, non volevo intrattenimenti. Passavano, e cercavo soprattutto, parole, non da dire, ma da riconoscere nell’origine per cercare un punto da cui partire. Le cercavo nel dizionario etimologico ma le trovavo anche alla radio [vedi L’Alfabeto Pandemico, realizzato da Lo Stato dei Luoghi] e insieme sentivo, finalmente, il silenzio inimmaginabile che Adriano Olivetti “sognava”.
Ma prima di tutto, prima che le parti e i pezzi dell’insieme che sono cominciassero a raggiungermi, è arrivata, con un whatsapp di un’amica, la poesia di Mariangela Gualtieri e ho incontrato la risonanza e la misura della direzione verso cui muovere.
CATERINA BENVEGNÙ
“Avrei preferenza di no”, diss’egli, e silenziosamente sparì dietro il paravento.
Per alcuni istanti fui trasformato in una statua di sale, in piedi alla testa della colonna dei miei assisi impiegati. Riprendendomi, mi mossi verso il paravento, e gli chiesi ragione dell’inusitata condotta.
“Perché vi rifiutate?”
“Avrei preferenza di no.”
Herman Melville, Bartleby lo scrivano, Feltrinelli, 1991 [1853], p. 13
Il periodo di quarantena inizia con il rifiuto, quasi scioperante, nei confronti di qualsivoglia emanazione culturale. Se qualcosa appare, è in forma di flusso di coscienza, talvolta fluido, talvolta inceppato: si allarga tuttavia in un magma indefinito, che raduna assieme suoni, parole e porzioni di libri, immagini in movimento.
Risuonano per prime le prese di posizione di Bartleby lo scrivano, che incede invisibile e pur ostinato.
Successivamente, le uniche ulteriori forme possibili di resistenza e di ricerca sono generate da un procedere per appunti e punti interrogativi, accompagnate da echi lontani di viaggi nell’altrove, da suoni evocanti e struggenti, che squarciano lo spazio e il tempo così come credo di conoscerli. Gli Anagoor descrivono così il loro intervento per Radio India: «Non un’opera teatrale adattata per la radio, ma macerie di viaggi teatrali che assumono la forma di uno stasimo radiofonico, un viaggio a piè fermo.» [1]
E ancora, le immagini silenti di A Study in Choreography for Camera di Maya Deren scorrono sinuose, ricordandomi come la sperimentazione sulle immagini e la potenza politica del poetico sono nutrimento per la mente e tramite per il superamento dei confini tra gli spazi. [2]
[1] La compagnia teatrale Anagoor interviene a Radio India, palinsesto radiofonico delle compagnie residenti a Teatro India, Roma
[2] Maya Deren, Talley Beatty, A Study in Choreography for Camera, video 16mm, 3’, 1945
ELENA SQUIZZATO
[…] Se tutto viene fermato, tutto può essere rimesso in discussione, flesso, selezionato, ordinato, interrotto per davvero o, al contrario, accelerato. È ora il momento di fare l’inventario annuale. Alla richiesta data dal buon senso: “Riavviamo la produzione il più rapidamente possibile”, dobbiamo rispondere con un grido: “Assolutamente no!”. L’ultima cosa da fare sarebbe rifare esattamente ciò che abbiamo fatto prima. […]
Bruno Latour, Immaginare gesti-barriera contro il ritorno alla produzione pre-crisi, in antinomie.it, 9 aprile 2020
DIMORE nasce a marzo come idea inconscia di andare contro questo sistema dedito alla produzione e di decostruire il preconcetto che in una residenza si debba per forza produrre qualcosa di “oggettuale”, un lavoro finito, pronto per essere esposto al pubblico, visto, a suo modo consumato. Piano, piano poi, incoraggiata da una serie di segnali, alcuni urlati, altri più sottili e labili ricevuti e captati in questa nuova dimensione inedita di connessione e socialità virtuale-reale, si è trasformata in una consapevolezza, un gesto-barriera che vuole affermare come prima cosa “assolutamente no!” e poi proporre una possibile visione, un diverso modo di fare.
ELISA PREGNOLATO
I termini temporali, come “esitazione”, “attesa” o “pazienza”, hanno il compito di fondare una relazione positiva con ciò che si sottrae a ogni presente disponibile. Non esprimono uno stato di deprivazione, piuttosto marcano un sovrappiù del meno. L’attesa non si aspetta infatti qualcosa di determinato ma designa il rapporto con ciò che si sottrae a ogni forma di calcolo. Anche l’esitazione non significa indecisione, ma è un rapporto con ciò che si sottrae a ogni presa risoluta.
Byung-Chul Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero, 2017
Questa quarantena ci ha imposto di fermarci, ci ha autorizzato a indugiare, ci ha fatto vivere il tempo con tutti i nostri sensi e umori.
Questo libro ha impresso in me l’immagine di un incenso che brucia al posto di un orologio: la volontà di abbandonare il tempo scandito e lasciarsi permeare dal profumo del tempo, dalla sua quasi immobile, profonda, presenza-essenza.